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Critiche
Agata Cherubini
Emanuele Horodoniceanu
Leone Minassian
Ritaglio
Colonna
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Piergiorgio Brusegan è un artista eclettico solo al primo sguardo.
Gli elementi che dominano le sue tele e che negli anni hanno intessuto un filo conduttore attraverso tutta la sua produzione sono il colore e la suggestione.
In più di mezzo secolo di attività ha affrontato, ma più spesso assalito e sfidato, la grafica, il disegno a china, l'olio, la tempera, il pastello, il carboncino. Dai grandi formati delle tele più sontuose e bizantine, ai disegni più minuti, dall'olio brillante, denso e materico, all'acquarello più tenue e aereo.
Il colore è aggressivo, festoso e fastoso, solare, drammatico e B. si serve di questi toni per dar vita a impressioni d'ogni tempo e spazio.
Pittore e viaggiatore, come un mercante di spezie, di merci rare e preziose dell'Oriente, trasporta sulle galee in rotta su Venezia un carico di suggestioni esotiche, ricercando un mondo improbabile, ma emotivamente credibile, nel quale animali selvaggi, donne lussureggianti come la foresta nella cui oscurità esse ripossano, figure umane strampalate e di grande dignità, indovini, zoppi, impiegati frustrati, bambini vestiti alla marinara coinvolgono muti chi li guarda, perfettamente intellegibili.
Il substrato classico della sua pittura appare più evidente nelle opere della prima giovinezza, ma questo viene via via travolto dalle sperimentazioni dell'astratto e del colore puro e violento; rimane però silente sul fondo di ogni quadro, non vinto, riapparendo in superficie decenni più tardi, nella maturità.
Bruse è giovane artista in una Venezia vivace ed autentica; sono gli anni Sessanta e fino al decennio successivo egli partecipa attivamente alla vita artistica di allora con una serie di mostre, vincendo diversi premi: è giovane pittore che l'ambiente di allora riconosce come molto promettente. Ma proprio in quegli anni si fa strada una forza centrifuga che, prepotente, lo spinge verso altre rotte, seguendo un istinto che da sempre ha segnato il destino dei veneziani: viaggiare, allontanarsi, conoscere. Chissà se è consapevole di incarnare in qualche misura la storia della sua città, un piede in Occidente, l'altro a Bisanzio, la scassata e grandiosa capitale dell'Oriente, di cui venezia fu la figlia più amata e ribelle.
Brusegan trasporta sulla tela ciò che il suo spirito ha respirato e trasfigurato un po' dovunque nel suo errare in Nepal, in India, nell'ex colonia portoghese di Goa, per citare solo le rotte più battute. Tra un viaggio e l'altro dipinge le sue tele, nei vagabondaggi lo accompagnano invece china, acquarelli e gli inseparabili libretti, nei quali traccia storie fantastiche e umanissime, che si srotolano, a piccoli tratti, nelle pagine.
È impossibile incanalare e irregimentare la corrente impetuosa e turbolenta della sua opera, rischiando di stravolgerne e di ridurne la complessità, ci si potrebbe richiamare al simbolismo di Gustave Moreau, alle suggestioni oniriche dei surrealisti, al Matisse dei Pesci Rossi.
QUesto e molto altro risuona nell'estro del Bruse: un intimismo che ci ricorda gli interni di Bonnard, l'irruenza dei Fauves (le belve, appunto), l'astrattismo degli anni Sessanta e Settanta, l'arte psichedelica e la cultura hippy.
Artista solare e solitario, forte ed eccessivo, dentro di lui non trovano spazio né lungimiranza, né cautela, né moderazione. Colorista eclettico, un po' Vate, che intinge i suoi pennelli nella limpida e profondissima fonte della Poesia.
Ci sembra evidente che al cospetto dell'arte di Pier Giorgio Brusegan ci si trova di fronte all'attività di un autentico pittore.
Le qualità tipiche ed intrinseche inerenti a questa difficile attività sono palesi nel suo lavoro.
Colorista indubbiamente innato, egli possiede una immaginazione rappresentativa e formale pressocché illimitata.
Le sue affinità elettive dal surrealismo precorrista di un Jeronimus Bosch, all'astrazione sistematica e alla somiglianza della tavolozza Kandiskyana. Quello però che apparenta Brusegan alle esigenze estetiche e culturali della nostra contemporaneità è che ogni accenno ad una allusione al mondo circostante è in lui scomparso, consentendogli di esprimersi per simboli formali, senza inibizioni né freni.
Certe sue immagini potrebbero apparire macabre se il colore per lo più altisonante non le allietasse, trasformandole in un'orgia festosa. La sua cromia è pura, talvolta violenta, persino cruda, ma non ignora a volte neppure i trapassi più lievi, delicati e matericamente impalpabili. Poiché la sostanza fisica del suo colore è molto spesso magra, talvolta magrissima. Appartiene, seppure in modi autonomi a quel filone di narrativa favolistica che rifugge tuttavia, da ogni riferimento obbiettivo.
Se talvolta qualche tinta risulta aspra, è segno che il tormento ha preso il sopravvento sulla capacità contemplativa del pittore.
Le figurazioni di Brusegan, modulate prevalentemente sui rossi di ogni gradazione e qualità, arpeggiati dai rossi più teneri alle lacche più accese e dichiarate che non escludono escursioni e contrasti con tinta fredda o calda di tutta la gamma cromatica, campeggiano sovente su sfondi luminosi di bianco assoluto tali da stabilire e distribuire la partitura spaziale e ritmica. Ma questi inquieti emblemi seguono sinuosità imprevedibili esprimendo ora fonde cavità ora aggressive protuberanze, egli esprime indubbiamente un tormento interiore che si placa, esaltandosi mediante la solarità del colore.
Se osservati da un particolare angolo visuale, questi dipinti potrebbero essere anche scambiati per una operazione gestuale, ma mai gratuita. Per un altro verso, sono riconoscibili elementi ponderati e meditati.
Senso dei vaolri ed acute osservazioni emanate dall'intensità dell'uomo, sovrapponendosi alla cosidetta realtà apparente. Di tanto in tanto l'irruenza dell'istinto scatenato in arabeschi frenetici rasenta il disordine, ma in generale, il dinamismo delle composizioni è frenato da un senso di misura che obbedisce ad un misterioso subcosciente. Naturalmente la strada che ha scelto questo giovane non è di quelle più facili e il cammino che lo attende è lungo e spinoso, ma le promesse per una traversata non troppo pericolosa ci sono.
La sua pittura ci appare valida perché vi ravvisiamo un vivo anelito alla poesia la quale, finché si servirà per esprimersi di forme e di colori, scopo ultimo e supremo dell'arte. Anche se il termine appare generico, pur essendo insostituibile.
"O pintor aventureiro", così titolava qualche anno fa in una rivista d'arte portoghese un corposo articolo dedicato ad un pittore veneziano, di quelli che solitamente non godono delle amorevoli attenzioni della critica. Un titoli sicuramente azzeccato che ben condensa l'esperienza artistica ed umana di Piergiorgio Brusegan, più noto come "Bruse".
Lui, la pittura e l'avventura le ha nel sangue, non gli occorrono trasfusioni... I due elementi si combinano, si completano e si arricchiscono vicendevolmente irrorando di sana energia creativa un percorso iniziato, in qualche modo, nel 1948. In quell'anno Bruse disegna e colora con matita e pastelli un Garibaldi, illustre guerrigliero-avventuriero ed ereo dei due mondi: una scelta già indicativa per un bambino di sette anni!
Prima di avviarsi anche lui verso l'avventura, il piccolo Bruse deve attendere una quindicina d'anni. Nel frattempo continua a dipingere (a tredici anni realizza pregevoli paesaggi), si nutre di cultura classica, comincia a bazzicare l'ambiente dei pittori veneziani e poi mette su studio con Zotti, Gioli e Cisco. In quegli anni "formativi" frequenta pure l'ambiente artistico di Brera e partecipa alle Collettive della Bevilacqua La Masa.
La sua pittura si immerge sempre più nel colore e si perde in territori surreali, trovando lungo la via anche stimoli matissiani.
Ed arriva il tempo della fuga: siamo alla metà degli anni sessanta e Bruse ha ventiquattro anni. C'è da scegliere tra la sicurezza dello stare in laguna e magari iniziare un lavoro e l'incertezza dell'andare con quattro soldi in tasca verso l'ignoto. Chiaramente lui adotta la seconda soluzione e si mette in viaggio verso Oriente, un pellegrinaggio che lo porta verso l'India ed il Nepal, con puntate in Cambogia, Indonesia, Birbania, Giappone, con gaugin a fargli da spirito guida... Per una deicna d'anni per raggiungere la sua lontana meta segue le antiche vie di terra, attraversando Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan.
Paesi, colori, genti, animali, villaggi e città iniziano a popolare i suoi diari di viaggio dove il reale si accompagna al fantastico, la magia all'ironia. Sono taccuini di varie dimensioni che, giorno dopo giorno, si riempiono di disegnie scritti, fitte pagine sulle quali racconta ed inventa, ritrae e mitizza, coglie e stravolge. La china, l'acquarello, i pastelli fedeli compagni di strada lo accompagnano, in un susseguirsi di tappe ed incontri, ad attraversare un altro tempo dove c'è spazio ancora per guardare, sentire, ascoltare, meditare, perdersi... e passano elefanti, cammelli, pantere, maiali, leoni, coccodrilli ed una scimmia nuota nel fiume. Lì si sta bene a vedere scorrere la natura, lentamente, senza affanno, mentre nel cielo sfilano uccelli di una pre-historia sognata. Laggiù si sta bene, ma il veneziano con i capelli lunghi e la barba non ha dichiarato guerra alla sua città. Il balsamo d'Oriente serve a rigenerarsi e a recuperare con spirito nuovo e più saldo il legame con la laguna. Così, come un mercante d'una venezia lontana, Bruse dopo ogni viaggio rientra tra le mura di casa, reduce appagato ma non sazio che si porta appresso il suo carico di immagini e mercanzie. Nella stagione lagunare scarica su grandi tele e dischi la sua energia cromatica, il suo delirante popolo in calore e colore, la sua debordante mitologia, la fantasia, la danza, lo sberleffo, la provocazione. Un carnevale cosmico, il bestiaro che si nasconde tra le nuvole... Il colore che esplode in libertà, ma anche il segno scattante che continua a ripercorrere su fogli di carta strade e sentieri con nuove storie che si rincorrono attraverso montagne, deserti e mari. Scorrono ritratti di amici e conoscenti, volti anonimi ed arhcitetture, paesaggi reali e trasfigurati, "capricci", isole, le rotte fantastiche d'un viaggiatore curioso che ha diretto la prua ad oriente ed una barca scivola verso il delta e la sua foresta intricata, come la vita. E poi su, verso la torre del cielo, la città di pietra che appare... Il richiamo gaugeniano di "Noa Noa" è forte e tradotto in "Nua Nua" diventa slang lagunare che è assieme invito a nuotare longano da lì, verso altri lidi ed invocazione a che una donna si liberi dall'ingombro delle vesti e si offra allo sguardo. I nudi di Bruse non lasciano indifferenti: sanno essere carnali e carnosi, sensuali, grotteschi, spudorati, seducenti, eccessivi.
"Nua Nua" è la terra promessa dove la tecnologia è bandita che, da quarant'anni, riempie gli occhi e la mente d'un pittore in fuga. Lontano da ogni documentarismo il suo andare è anche vagare e spaziare: un veliero che spalanca le vele ad accogliere il vento ed imbarcare una folla variegata di avventurieri ed esploratori, mercanti e conquistatori, saggi e folli, prìncipi e pastori, cavalieri e mendicanti e tutti l'altri compagni di strada di un "pintor aventureiro" capace di guardare il mondo con gli occhi della fantasia, la libertà del sorriso e con la benedizione del sole.
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Rotoli
28 — Lingam
36 — Me nono Santo
40 — Cagnara
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Rosso bel Verde,
Arancio Blu,
Giallo Violetto,
Cuccurucù
Ero giovane e disperato, adesso sono vecchio e molto più disperato.